Il polistirene è un polimero sintetico, di rilevanza industriale, ottenuto dalla polimerizzazione radicalica del monomero stirene.

Per ottenere il monomero stirene si parte dal benzene che viene alchilato ad etilbenzene con etilene. Benzene ed etilene sono miscelati e passati su un catalizzare eterogeneo acido, a base di zeoliti, a 650 K e 20 atm.

Nei processi più obsoleti, ma ancora oggi in parte utilizzati, il catalizzatore è invece omogeneo, nello specifico AlCl3/HCl, secondo la reazione di Fiedel-Crafts. In questo caso si opera in un reattore gas-liquido, nel quale il benzene e il catalizzatore costituiscono la fase liquida, mentre l’etilene (che viene insufflato dal fondo del reattore sotto forma di bollicine) costituisce la fase gassosa. Si opera in genere a temperature comprese tra 85-95 °C e pressione compresa tra 1-7 bar.

Una volta prodotto l’etilbenzene, questo potrebbe reagire con l’etilene, alchilandosi ulteriormente, con produzione di dietilbenzene e trietilbenzene. Dal momento che in polimerizzazione queste molecole porterebbero alla produzione di polistirene ramificato, non desiderato, è necessario rallentare la reazione di produzione di dietilbenzene e trietilbenzene. Per fare ciò si opera con rapporto benzene-etilene non stechiometrico, bensì in eccesso di benzene (in genere con un rapporto benzene-etilene compreso tra 2 e 10). In questa maniera l’etilene si comporta da reagente limitante. A ciò bisogna aggiungere l’effetto di “selettività di forma” del catalizzatore zeolitico, che sfavorisce la formazione di molecole che abbiano un peso molecolare più elevato (quali sono il dietilbenzene e il trietilbenzene).

L’etilbenzene viene poi deidrogenato a stirene su catalizzatore a base di ossido ferrico, a una temperatura di 850K. Una piccola quantità di ossido di potassio è mescolata con l’ossido ferrico per mantenere il catalizzatore nello stato Fe(III). Il vapore diminuisce il “coking” o carbonizzazione (cioè la formazione di fuliggine sul catalizzatore dovuta alla decomposizione dell’etilbenzene alle alte temperature utilizzate).

Durante lo stoccaggio dello stirene così prodotto, per ridurre la polimerizzazione spontanea dello stirene, esso viene addizionato con un anti-polimerizzante, il t-butilcatecolo (TBC), che inibisce la reazione radicalica del gruppo vinile; per essere efficace il TBC va accompagnato da una seppur minima quantità di ossigeno. La velocità di polimerizzazione dello stirene è variabile con la temperatura; industrialmente lo stirene viene stoccato in condizioni refrigerate, a temperatura inferiore a 10 °C; in assenza di TBC (o laddove esso sia stato consumato) la polimerizzazione avviene comunque anche a basse temperature con cinetica lenta ma inarrestabile. Va assolutamente evitato di portare lo stirene in stoccaggio a temperatura superiore ai 70 °C, in quanto può innescarsi una reazione in massa di polimerizzazione spontanea che diventa non controllabile, dato che il progressivo aumento di temperatura che si viene a determinare aumenta a sua volta la velocità di reazione per effetto Arrenhius. La reazione di polimerizzazione dello stirene è esotermica, con calore di polimerizzazione pari a circa 170 kcal/kg.

Durante la polimerizzazione radicalica dello stirene, il legame π del gruppo vinilico si rompe, formando un nuovo legame carbonio-carbonio σ con un’altra molecola di monomero, ottenendo catene polimeriche lunghe alcune migliaia di monomeri, con pesi molecolari tipicamente da 100000 a 400000 g/mol. Dato che in questa reazione si utilizza un solo monomero, il polistirene in quanto tale è un omopolimero.

La polimerizzazione dello stirene, spontanea benché lentissima anche a temperatura ambiente se lo stirene non contiene appositi composti inibitori, è una reazione per addizione che viene spesso cominciata da prodotti (detti iniziatori) capaci di produrre radicali, come ad esempio i perossidi. La reazione è esotermica, perciò bisogna regolare la temperatura per evitare il surriscaldamento del reattore.

La produzione avviene secondo diverse modalità, a seconda del tipo di impianto e dei volumi di produzione coinvolti.

  • Polimerizzazione in massa: il reattore contiene solo lo stirene e l’iniziatore, la temperatura viene mantenuta tra i 50 e i 150 °C.
  • Polimerizzazione in sospensione: lo stirene viene mantenuto sospeso in acqua per agitazione continua; l’aggiunta dell’iniziatore provoca la polimerizzazione delle gocce di stirene, che si trasformano in sferette di polimero;
  • Polimerizzazione in emulsione: lo stirene viene mantenuto in emulsione in acqua attraverso opportuni prodotti tensioattivi e l’iniziatore è solubile in acqua a differenza di quella in sospensione in cui l’iniziatore è solubile nel monomero.

In base all’ordinamento spaziale del sostituente fenilico si può ottenere polistirene di diversa tatticità. Il polistirene commerciale è sempre atattico (in cui il sostituente fenilico è distribuito random dalle due parti del piano rispetto alla catena polimerica) in quanto ottenuto per via radicalica. Il polistirene sindiotattico (sostituente fenilico alternato sopra e sotto al piano) e isotattico (sostituente fenilico sempre dalla stessa parte del piano) non sono di interesse commerciale per le loro proprietà non soddisfacenti e sono caratterizzati da costi di produzione elevati, essendo ottenuti da catalisi Ziegler-Natta.

Come polimero termoplastico, il polistirene atattico è un solido vetroso a temperature ambiente (non cristallino, visto che la disposizione random del sostituente fenilico impedisce l’avvicinamento nello spazio e l’impacchettamento regolare delle catene polimeriche), con temperatura di transizione vetrosa Tg pari a circa 100 °C. In quanto solido amorfo non presenta temperatura di fusione Tm, come invece nel caso di polimeri semicristallini come il polistirene isotattico (240 °C) e sindiotattico (270 °C).

Tra i polimeri termoplastici, il polistirene è da ritenersi una commodity, la cui scala di produzione si attesta intorno ai milioni di tonnellate all’anno.

Il polistirene in quanto tale viene denominato General-Purpose PolyStyrene (GPPS), o polistirene cristallo, ed è trasparente, se non contiene coloranti appositamente aggiunti, duro e abbastanza fragile.

I principali usi del polistirene includono il packaging protettivo, contenitori e stoviglie usa e getta, può essere stampato (ad iniezione, come nel caso della manifattura dei contenitori dello yogurt) e termoformato (come nel caso dei bicchierini del caffè).

Figura 1. Maggiori applicazioni dei polimeri stirenici

Il polistirene può essere anche espanso tramite l’utilizzo di agenti detti espandenti, ottenendo prodotti a bassa densità, quali EPS (Expanded PolyStyrene) più comunemente noto come polistirolo espanso stampato per imballaggi oppure XPS (eXtruded PolyStyrene) estruso in lastre.

Il polistirene è relativamente inerte agli agenti chimici, è resistente allo stress chimico di molti acidi e basi, tuttavia viene attaccato da molti solventi organici, quali ad esempio i clorurati e gli aromatici, e non presenta alta barriera a vapore d’acqua e ossigeno.

Il polistirene non è biodegradabile ma può essere riciclato in molti modi, tra cui il riciclo meccanico e il riciclo chimico (pirolisi). Il riciclo meccanico prevede la triturazione, il lavaggio, la purificazione dalle impurezze e la successiva rigranulazione del polistirene da post-consumo. La pirolisi è il processo di depolimerizzazione del polistirene per ottenere il suo monomero di partenza, lo stirene. La pirolisi necessita quindi di alte temperature e pressioni per riuscire a rompere il legame covalente tra i vari monomeri e questo implica, da un punto di vista industriale, alti costi di gestione del processo, rendendo così l’olio di pirolisi una materia prima seconda costosa.

I due processi di riciclo a confronto:

  • Riciclo meccanico: è più semplice dal punto di vista impiantistico perché prevede solamente un processo di selezione del materiale di scarto e successiva rilavorazione per estrusione; porta, tuttavia, ad ottenere una materia prima seconda inevitabilmente degradata visto che il polimero, sottoposto al processo di riestrusione e rigranulazione, può degradare (diminuzione del peso molecolare, ossidazione, formazione di sottoprodotti a basso peso molecolare) e inquinata da impurezze chimiche ma anche solide (carta, vetro, alluminio, ecc.)
  • Riciclo chimico: anche in questo caso la selezione del materiale che verrà poi sottoposto a pirolisi è fondamentale ma il processo di pirolisi, ovviamente richiedente un impianto molto più complicato e difficile da gestire, produce un liquido viscoso ricco in idrocarburi aromatici, tra cui lo stirene, che può essere facilmente ri-polimerizzato per ottenere un polimero tal quale a quello vergine. Il riciclo chimico quindi può essere messo in atto solo da aziende che, munitesi dell’impianto di pirolisi, a valle, possiedono anche gli impianti di polimerizzazione, mentre il riciclo meccanico può essere gestito da aziende molto più piccole, specializzate.

La famiglia dei polimerici stirenici non è composta solamente dalla commodity polistirene (cristallo, GPPS). Esistono infatti molti altri polimeri di interesse industriale, prodotti in quantità relativamente minori al polistirene, con applicazioni diverse e specifiche, che derivano dall’utilizzo assieme al monomero base Stirene di altri co-monomeri per produrre polimeri per via radicalica, quali i copolimeri termoplastici SAN (Stirene e Acrilonitrile), il SMMA (Stirene e Metilmetacrilato), ecc., oppure per produrre gomme per via anionica, quali SBR (Stirene e Butadiene), SBS (Stirene e Butadiene a blocchi), o ancora combinazioni di polimeri termoplastici con fasi disperse di gomme, i cosiddetti stirenici rinforzati, quali l’HIPS (High Impact PolyStyrene, Polistirene rinforzato con gomme a base polibutadiene) oppure l’ABS (SAN rinforzato con gomme a base polibutadiene); esistono poi varianti degli ABS, rinforzati con gomme diverse da quelle polibutadieniche, quali gli ASA (gomme acriliche) o gli AES (gomme etileniche). In generale si possono ottenere diverse combinazioni di monomeri con diversi tipi di gomme usate come rinforzo, ma i sopracitati rimangono quelli di maggiore rilevanza industriale.  La definizione di terpolimeri che viene comunemente attribuita ai polimeri stirenici rinforzati non è esatta: questi materiali non sono il risultato della polimerizzazione di tre monomeri diversi ma vedono la polimerizzazione radicalica di due soli monomeri in presenza di una polimero (la gomma) già preformato; è anche vero che, durante la polimerizzazione radicalica dei due monomeri, si possono ottenere delle catene polimeriche graffate alla catena di gomma producendo così un polimero finale, denominato  “graffato” che stabilizza l’emulsione di gomma all’interno della matrice termoplastica, ma questo contribuisce a pochi punti % alla composizione finale del materiale in questione.

Mondiale26,4 milioni di tonnellate1
Cina13,2 milioni di tonnellate1
Stati Uniti2,8 milioni di tonnellate2

Dati da: 1. Estimate for 2016, Merchant and Research Consulting, 2013.
2. Polystyrene 2015 Guide to the Business of Chemistry, American Chemistry Council, 2016.

Edizione italiana, corretta ed ampliata, a cura di Giacomo Di Mauro, Luca Puccinelli e Valter Ballantini, 1 febbraio 2021