Il propilene viene sottoposto a polimerizzazione per ottenere il polipropilene (PP), uno dei polimeri termoplastici più versatili disponibili in commercio. Miscele di propilene ed altri monomeri formano un’ampia gamma di importanti copolimeri.

Proprietà ed impieghi del polipropilene

Il polipropilene ha diverse proprietà che lo rendono adatto a sostituire vetro, metalli, cartoni e altri polimeri. Queste proprietà includono:

  • bassa densità (risparmio di peso)
  • elevata rigidità
  • resistenza al calore
  • inerzia chimica
  • proprietà barriera al vapore (protezione degli alimenti)
  • buona trasparenza
  • buon equilibrio impatto / rigidità
  • elasticità (applicazioni di film e fibre)
  • buona proprietà della cerniera (ad esempio quando un coperchio e una scatola sono realizzati insieme, per le scatole di DVD)
  • alta lucentezza (aspetto)
  • facile da saldare
  • riciclabilità

La maggior parte del polipropilene viene prodotto come omopolimero (circa il 60% del totale).

Il polipropilene è uno dei termoplastici più leggeri (densità 0,905 g/cm3). Ha un punto di fusione di 170 °C e una cristallinità di circa il 50-60%.

Grazie alle caratteristiche sopra riportate, il polipropilene viene trasformato in film per imballaggi e in fibre per tappeti e abbigliamento. Inoltre, è utilizzato per articoli stampati a iniezione che vanno dai paraurti delle auto alle ciotole per i piatti e può essere estruso in tubi (Figura 1).

Figura 1. Impieghi del polipropilene

Materiali adatti per una gamma molto più ampia di applicazioni possono essere realizzati mescolando polipropilene con, ad esempio, cariche, pigmenti ed elastomeri.

Struttura del polimero

Figura 2. Molecola di propilene

Il propilene (Figura 2) è una molecola prochirale in quanto contiene un atomo di carbonio del doppio legame bisostituito che al momento della formazione della catena polimerica risulta in un centro stereogenico. Per questo motivo, a differenza di quanto accade con il polietilene, i due atomi di carbonio del doppio legame non sono equivalenti e durante la polimerizzazione si possono ottenere catene con diversa stereoregolarità. In particolare si possono formare tre stereostrutture differenti che dipendendono dalla posizione del gruppo metile: due sono stereoregolari (isotattiche e sindiotattiche) e la terza non ha una strutture regolare e viene definita atattica come mostrato in modo semplificato in Figura 3:

Figura 3. Strutture molecolari del polipropilene.

La struttura del polipropilene isotattico fa sì che le molecole formino delle strutture ad elica. Questa forma regolare consente alle molecole di cristallizzare dando origine a un materiale duro, relativamente rigido, che, nella sua forma pura, fonde a 170 °C. Anche il polimero sindiotattico, a causa della sua struttura regolare, è cristallino. Al contrario, le catene atattiche hanno una struttura completamente casuale e di conseguenza non cristallizzano.

Mondo52.2 milioni di tonnellate
Europa13.1 milioni di tonnellate
Russia0.64 milioni di tonnellate
Tabella 1. Produzione annuale mondiale di polipropilene.

Produzione di polipropilene

Il polipropilene viene prodotto dal propilene, il quale è ottenuto in grandi quantità da gasolio, nafta, etano e propano. Parallelamente sono in corso di sviluppo diversi metodi per produrre bio-propilene.

Industrialmente, quando si parla di PP si intende il polimero isotattico, ottenuto per la prima volta in Italia nel 1954 da Giulio Natta presso il Politecnico di Milano. Il primo impianto industriale per la sua produzione venne realizzato a Ferrara dalla società Montecatini (poi Himont) che già nel 1957 introduceva sul mercato i primi quantitativi del nuovo materiale, sotto il nome “Moplen”. Nel tempo i processi di produzione del PP sono stati migliorati al fine di renderli maggiormente produttivi, a minor impatto ambientale, con ridotti consumi energetici ed elevata qualità dei prodotti. Oltre allo sviluppo di nuove tecnologie, reattori e tutta l’ingegneria di processo, gran parte dell’evoluzione dei processi di produzione è stata possibile grazie allo studio e messa a punto di sistemi catalitici sempre più efficienti.

La chiave di successo, per produrre PP stereoregolare, è la disponibilità di catalizzatori stereospecifici, cioè capaci di fornire catene polimeriche ad elevata regolarità strutturale (alto tenore di polimero isotattico). I vari lavori di ricerca negli anni hanno fornito tipologie di catalizzatori profondamente diversi, tali da essere classificati in diverse generazioni (prima, seconda, terza, ecc). Il primo sistema catalitico utilizzato da Natta nel 1954 è stato quello ottenuto combinazione di TiCl4 e AlR3 (dove R rappresenta etile o isobutile), precedentemente impiegata da Ziegler per la polimerizzazione dell’etilene.

Successivamente venne modificato utilizzando TiCl3 che permetteva di avere maggiore stereoregolarità. Il TiCl3 si può trovare in diverse forme cristalline (α, β γ, δ). La forma cristallina del titanio tricloruro è di fondamentale importanza in quanto da essa dipendono la resa e la stereospecificità in polimerizzazione dei sistemi catalitici. Questi primi catalizzatori sono detti di prima generazione. In seguito, all’inizio degli anni Settanta la Solvay brevettò un sistema catalitico sempre a base di TiCl3 ma dotato di migliori prestazioni in termini di resa, stereospecificità e capacità di controllo della morfologia del polimero che venne denominato di seconda generazione. Nei catalizzatori di generazioni successive sono stati messi a punto sistemi contenenti magnesio cloruro (MgCl2) che forma soluzioni solide con il composto di titanio e permette di rendere maggiormente disponibili verso il monomero un’elevata quantità di siti di titanio e quindi aumentarne l’attività. Inoltre, il sale di magnesio lo preserva attivo nei ripetuti atti elementari di coordinazione e inserimento del monomero nelle catene polimeriche. Successivamente, con l’introduzione di nuove generazioni di catalizzatori, grazie all’introduzione di basi di Lewis come elettrondonatori (ED) è stato possibile aumentare significativamente anche la stereospecificità. Esso garantisce alti indici isotatticità, unitamente ad elevate rese di polimero, cosicché i residui di catalizzatore nel prodotto finale sono minimi e non è quindi necessaria la sua rimozione.

Un’altra tipologia di catalizzatori sempre più utilizzati per la produzione del polipropilene sono i metalloceni, molecole che hanno un atomo di metallo di transizione legato tra due ligandi ciclopentadienilici che si trovano su piani paralleli. Il ferrocene è un esempio particolarmente noto:

Tuttavia, il termine è ora utilizzato più ampiamente per includere altri ligandi correlati al ciclopentadienile. Uno di questi metalloceni è basato sullo zirconio:

Lo zirconio ha uno stato di ossidazione di +4 ed è legato a due ligandi indenilici (un ligando ciclopentadienilico fuso ad un anello benzenico). Sono uniti da due gruppi CH2. Insieme a un composto di organoalluminio, agisce come catalizzatore per la polimerizzazione di alcheni come l’etilene e il propilene. L’orientamento specifico del composto di zirconio significa che ciascuna molecola di propilene, ad esempio, quando si aggiunge alla catena polimerica in crescita, ha lo stesso orientamento e viene prodotto un polimero isotattico.

Quando viene utilizzato un composto di zirconio diverso viene prodotta la forma sindiotattica del polipropilene:

Questo è l’unico modo per produrre commercialmente polipropilene sindiotattico.

Il polipropilene così realizzato, mPP, viene utilizzato in particolare per realizzare fibre e film termosaldanti. I metalloceni catalizzano anche la produzione di copolimeri di propilene ed etilene.

Esistono varie tipologie di processi per la produzione del polipropilene ma quelli che hanno trovato il maggior sviluppo industriale operano in sospensione di un diluente idrocarburico, in massa o in fase gassosa. Di seguito sono descritti i processi più importanti.

(a) Processo in sospensione in un diluente idrocarburico

Questo processo di produzione è stato utilizzato dai principali produttori di PP fino al 1976 impiegando catalizzatori di prima generazione ed è stato progressivamente abbandonato in quanto caratterizzato da una bassa resa in polimerizzazione e da una insufficiente isotatticità, tale da rendere necessaria la rimozione sia dei residui catalitici (per trattamento con acqua e alcol) sia del polimero amorfo prodotto alla fine del processo. Il polipropilene isotattico era isolato per centrifugazione e successivamente la frazione atattica rimasta nel diluente idrocarburico veniva raccolto per evaporazione di quest’ultimo. I diluenti idrocarburici più usati erano n-esano o n-eptano e il monomero che non aveva reagito dopo la polimerizzazione era riciclato.

(b) Processo in massa

La polimerizzazione avviene in propilene liquido, in assenza di solvente, ad una temperatura di 70-90 °C e pressioni di 30-40 atm (per mantenere il propilene allo stato liquido). Dopo la polimerizzazione, le particelle di polimero solido vengono separate dal propilene liquido, che viene quindi riciclato. L’elevata concentrazione del monomero in assenza di solvente permette di avere elevata produttività per unità di volume del reattore. Inoltre, i residui catalitici risultano solubili in piccole quantità di solvente e sono facilmente rimovibili insieme al polimero atattico evitando così di sottoporre il polimero a post-trattamenti di fine processo.

L’uso di propilene liquido come solvente significa che non è necessario utilizzare idrocarburi come gli alcani C4-C8 che vengono utilizzati come solventi nella produzione simile di polietilene.

(c) Processo in fase gassosa

Figura 4. Talvolta viene utilizzato un reattore ad anello nella produzione di polipropilene così come nella produzione di polietilene. Per gentile concessione di Total.

Il propilene in fase gassosa viene polimerizzato in presenza di un catalizzatore Ziegler-Natta, in reattori a letto fluido o agitati. Le condizioni operative tipicamente consistono in temperature di 50-90 °C e pressioni di 8-35 atm.

Figura 5. Processo in fase gassosa a bassa pressione.

Il polimero viene separato dal propilene gassoso mediante cicloni e il gas non reagito viene riciclato. Non sono necessari post-trattamenti per la rimozione del catalizzatore.

(d) Processo Spheripol

Il processo Spheripol è uno dei processi più importanti strettamente connesso all’evoluzione dei sistemi catalitici. Si tratta di un processo ibrido (polimerizzazione in monomero liquido e successiva copolimerizzazione in fase gassosa) che ha consentito di ottenere una nuova gamma di materiali polimerici. L’aspetto più innovativo è la tecnica di produzione del componente catalitico solido che risulta in grado di controllarne la morfologia, la porosità e contemporaneamente di generare una distribuzione uniforme dei centri attivi nella particella di catalizzatore. Quest’ultima caratteristica è molto importante in quanto consente di avere un controllo della temperatura di polimerizzazione anche nella parte più interna della particella, evitando così surriscaldamenti che sono dannosi sia per il catalizzatore che per la qualità del polimero stesso. In questo processo, ogni singola particella di polimero in crescita si comporta come un microreattore (reactor granule technology), dove è possibile controllare non solo la morfologia ma anche la struttura tridimensionale e che contemporaneamente è capace di omo/copolimerizzare uno o più monomeri.

Questo processo può essere suddiviso nelle seguenti fasi:

  1. Polimerizzazione in monomero liquido con bassi tempi di residenza e bassi volumi di reazione;
  2. Separazione e recupero del monomero che non ha reagito;
  3. Polimerizzazione in fase gassosa per la produzione di copolimeri random o eterofasici;
  4. Allontanamento dei monomeri non reagiti.

Le potenzialità del processo Spheripol sono dovute al fatto che esso è capace di produrre omopolimeri, copolimeri random e copolimeri eterofasici ad alto impatto con un ottimo bilancio impatto/rigidità; ciò grazie alla possibilità di generare una matrice poliproprilenica ad alta cristallinità (II>99%) nel primo step di reazione e distribuire la fase elastomerica nei reattori in fase gassosa. Questa caratteristica ha offerto al mercato nuovi prodotti a basso costo di produzione consentendo al PP e ai suoi copolimeri di occupare spazi applicativi tipici di altri materiali polimerici. L’elevata velocità spaziale che si consegue nel reattore ad anello consente di smaltire l’elevato calore di reazione (590 kcal/kg) per un processo che avviene in massa (elevate cinetiche) e, ciononostante, consegue un elevatissimo controllo della sterospecificità del polimero e della sua morfologia, aliquote controllate di copolimero statistico, o a blocchi polietilenici.

(e) Processo Catalloy

Il processo Catalloy, evoluzione dello Spheripol, è stato sviluppato da Montell all’inizio degli anni Novanta. Si tratta di una tecnologia modulare, costituita da tre reattori indipendenti operanti in fase gassosa, che permette la polimerizzazione di differenti monomeri separatamente o in serie sulla stessa particella sferica in crescita, trasferendola da un reattore all’altro. La composizione della fase gassosa dei tre reattori è indipendente ed è conseguibile una notevole flessibilità relativamente al tipo di monomero e alla quantità di polimero ottenuto in ogni reattore, permettendo di progettare e di ottenere un’ampia gamma di prodotti dotati di proprietà innovative. Le principali caratteristiche del processo sono un basso consumo di energia, un’alta costanza qualitativa e un basso costo di produzione rispetto a prodotti simili ottenibili con tecnologie di compounding. In particolare, dal processo si ottengono: a) omopolimeri super-rigidi ad alta distribuzione dei pesi molecolari; b) copolimeri trasparenti ad alto impatto; c) copolimeri basso saldanti; d) copolimeri a basso modulo; e) copolimeri con eccezionali proprietà antiurto.

(f) Processo Spherizone

Il più moderno processo per la produzione di copolimeri eterofasici è stato messo a punto nella seconda metà degli anni Novanta dalla Basell. Utilizzando catalizzatori di quinta generazione contenenti dieteri o succinati come ED è stato messo a punto un modello di reattore a letto circolante in fase gassosa. Questo schema supera l’idea del materiale prodotto in due reattori differenti e si basa sul fatto che la particella di polimero crescente segue un processo oscillante tra ambienti a differente composizione di monomeri e di H2. Le due zone connesse tra loro sono il riser e il downcomer; ogni zona ha un diverso regime di fluidodinamica e attraverso un fluido barriera si possono avere diverse composizioni di gas che generano materiali differenti. La frequenza crescente di oscillazione delle particelle attraverso i due ambienti facilita la produzione di sferette polimeriche più uniformi in termini di composizione e quindi con proprietà migliorate. Si tratta di un processo a letto circolante in fase gas in un reattore (MZCR: MultiZone Circulating Reactor) seguito da un reattore in fase gas. Nel reattore MZCR il polimero in crescita circola tra due zone ad ad alta e bassa pressione di monomeri e idrogeno con un rapporto di circa 10 volte prima di uscire. Questo consente di compattare due reattori in fase gas in uno solo con conseguente risparmio sia energetico in marcia che di investimento.

Copolimeri

Esistono due tipi principali di copolimero ottenuti da propilene. I più semplici sono i copolimeri casuali, prodotti polimerizzando insieme etilene e propilene. Le unità di etilene, solitamente fino al 6% in massa, vengono incorporate in modo casuale nelle catene di polipropilene (Figura 6).

Figura 6. Copolimero alternato formato da propene e una piccola quantità di etilene.

La cristallinità e il punto di fusione sono ridotti e i prodotti sono più flessibili e otticamente molto più trasparenti. Gli usi principali di questi copolimeri casuali sono per prodotti medici (buste, fiale e altri contenitori) e imballaggi (ad esempio, bottiglie, CD e scatole video).

Sono in fase di sviluppo molti altri copolimeri di etilene e propilene, con alcheni superiori come il n-esene, che produrranno polimeri simili all’LLDPE, ma con migliori proprietà meccaniche e ottiche.

Il secondo tipo di copolimeri sono i cosiddetti copolimeri “a blocchi”. Questi sono realizzati seguendo l’omopolimerizzazione del polipropilene con un ulteriore stadio separato, in cui etilene e propilene vengono copolimerizzati in fase gassosa. Quindi questi due processi sono in serie (Figura 7).

Figura 7. Omopolimero e il copolimero a blocchi formato da propene ed etene.

Il copolimero a blocchi forma un materiale composito (Figura 8).

Figura 8. I noduli di copolimero a blocchi di propilene-etilene dissipano l’energia d’urto e prevengono la rottura.

Il contenuto di etilene del copolimero a blocchi è maggiore (tra il 5 e il 15%) rispetto a quello utilizzato nei copolimeri casuali. Ha proprietà simili alla gomma ed è più resistente e meno fragile del copolimero casuale. Di conseguenza, il composito è particolarmente utile nella realizzazione di casse, tubi, mobili e giocattoli, dove è richiesta robustezza.

Quando etilene, propilene e un terzo monomero, un diene, vengono polimerizzati, si forma una gomma, nota come EPDM (Ethylene, Propylene, Diene, polyMethylene).

La polimerizzazione viene solitamente effettuata in soluzione utilizzando un catalizzatore Zeigler-Natta sono stati utilizzati con grande successo. Solitamente il contenuto di etilene è di circa il 60% e quello del diene varia tra il 2 e il 10%. La catena polimerica ha la struttura,

dove R contiene un doppio legame carbonio-carbonio.

Poiché il diene (solitamente ENB etilidene norbornene) ha due doppi legami, uno viene utilizzato nella catena e l’altro viene utilizzato per formare una struttura tridimensionale. I siti reattivi sono pendenti (non fanno parte della spina dorsale della catena) e vengono uniti insieme nella parte successiva del processo quando il polimero viene riscaldato con zolfo, il processo utilizzato per vulcanizzare la gomma.

Edizione italiana a cura di Luca Puccinelli, Sara Natalini, Gloriana Reginato e Valter Ballantini, 8 marzo 2020